Privacy e coronavirus, il Viminale preoccupato dal tracciamento cellulari della Lombardia

19 Marzo 2020

Uffici al lavoro per capire le conseguenze giuridiche: una volta aperta la strada chi impedirebbe di farlo anche ai piccoli comuni?

ROMA. Che la Regione Lombardia avesse chiesto ai gestori telefonici di tracciare gli spostamenti dei suoi cittadini, al ministero dell’Interno lo hanno scoperto leggendo i giornali. E sono rimasti sbalorditi. Primo perché, secondo i dati del movimento attraverso gli spostamenti dei cellulari, il 40% dei lombardi continua a muoversi. Secondo, perché quel tipo di controlli, da Grande Fratello, sono una prerogativa dell’autorità giudiziaria, non di un’autorità amministrativa. E se anche hanno poi visto i distinguo e le precisazioni della Giunta lombarda, e la sottolineatura che si è trattato di un esame di “big data”, con analisi quantitativa e anonima, al Viminale la sorpresa ugualmente s’è impastata con una certa irritazione. Perciò sono stati messi al lavoro gli uffici, sia per capire esattamente i termini di questo tracciamento che andrebbe avanti da qualche giorno, sia per valutare le possibili ricadute giuridiche.

Il tema non è banale. Spiegano fonti del Viminale che è stato creato un precedente che va valutato a fondo. «Oggi è stata la Lombardia, domani potrebbero muoversi tutti gli altri presidenti regionali. E se si permette questo tipo di accertamento a una Regione, perché non a un Comune? Di questo passo, si può arrivare anche a piccolissimi Comuni con poche centinaia di abitanti. E allora, anche senza nomi e cognomi, il tracciamento può essere davvero invasivo».

Forse era inevitabile che ci si arrivasse. Sui giornali è pieno di articoli sulla Cina o la Corea o Israele che utilizzano cellulari e app per tenere sotto controllo i propri cittadini. Giusto ieri, il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, diceva in un’intervista radiofonica: «Il tracciamento dei movimenti attraverso i cellulari per limitare la diffusione del coronavirus secondo me è un’ottima soluzione. Il problema è che siamo in un Paese nel quale la limitazione della privacy e di libertà personale sono evocate a ogni pie’ sospinto. Ma siamo in emergenza, e ci vuole un provvedimento che ci legittimi a fare tutte queste attività». Un intervento del Garante per la Privacy in effetti è dietro l’angolo e Zaia concludeva: «A noi hanno proposto dei software che sono stratosferici, però mi metto nei panni dei cittadini, e quindi bisogna che ci sia una legittimazione giuridica sennò poi va a finir male».

Lo stesso assessore lombardo Giulio Gallera, che in questi giorni è uno dei più esposti nella lotta al virus, e che ha avuto per primo sul tavolo il risultato del tracciamento, ha tenuto a precisare che «è un’applicazione che le grandi compagnie telefoniche hanno messo a disposizione per vedere in maniera aggregata e totalmente anonima il flusso delle persone, come si sono mosse all’interno della regione o fuori. Nessuno controlla come il Grande Fratello».

Fonte: La Stampa – Politica

Coronavirus, come funzionano il controllo delle celle e il tracciamento dei contagi. Il Garante: “Non bisogna improvvisare”

Dalla Lombardia, che analizza gli spostamenti usando i dati di Vodafone e Tim, alla possibilità che vengano tracciati tutti i contatti dei malati di Covid-19
Intervista ad Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(di Martina Pennisi, Il Corriere della Sera, 18 marzo 2019)

Perché si sta discutendo della possibilità di usare i dati dei nostri smartphone per contenere l’epidemia del virus Sars-Cov-2?

Dal 20 febbraio, giorno in cui siamo venuti a conoscenza del primo cittadino italiano malato di Covid-19, in Italia sono morte 2.978 persone con il virus Sars-Cov-2 e i contagiati hanno superato quota 35 mila (qui i dati aggiornati). Per questo motivo si sente parlare della possibilità di sfruttare la tecnologia per monitorare e provare a contenere l’epidemia. Lunedì l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha caldeggiato qualcosa di simile auspicando test a tappeto, isolamento dei positivi e tracciamento dei loro contatti. Come si sono spostati e con chi sono venuti a contatto i malati, quindi.

Cosa sta facendo la Regione Lombardia?

Il vice presidente della Lombardia e assessore per la Ricerca Fabrizio Sala e l’assessore al Welfare Giulio Gallera hanno scoperchiato il vaso di Pandora martedì sera, annunciando di aver analizzato gli spostamenti “da cella a cella” dei telefoni cellulari per capire quanti abitanti si muovono sul territorio e come lo fanno (qui l’articolo di Cesare Giuzzi). Innanzitutto è bene premettere che si tratta di una versione light delle soluzioni più articolate e delicate che potrebbero venire adottate nei prossimi giorni o settimane. In questo caso, la Regione afferma di acquisire i dati anonimi e aggregati di Vodafone e Tim sul numero di telefonini che si agganciano alle antenne (qui Alessio Lana spiega come funziona): mentre ci muoviamo per continuare a funzionare il telefonino passa da una porzione di rete all’altra — le celle, appunto — e così i due operatori, prima, e la Regione, poi, sanno quante persone si sono spostate da un luogo a un altro e, per esempio, scoprono se in molti sono andati oltre le poche centinaia di metri concesse dal decreto (a queste condizioni, in continua evoluzione). Come spiega Sala al Corriere, “l’esperienza deriva da Expo e dall’analisi di flussi intorno e all’interno della fiera. Per Covid-19, abbiamo preso in considerazione il 20 febbraio, giorno del primo caso, e ci siamo resi conto che dopo il lockdown gli spostamenti sono calati solo del 60 per cento. Troppo poco”. Cosa vuol dire che le informazioni sono anonime e aggregate? “Sono dati secchi, numeri. Non abbiamo modo di risalire ai proprietari dei cellulari”, risponde Sala. Rimane il fatto che un primo canale di acquisizione e analisi dei dati delle società di telecomunicazioni per gestire Covid-19 sia stato aperto e che ne sia stata data comunicazione un mese dopo.

Cosa sta facendo il governo?

Qui inizia la parte delicata. Con il primo decreto sull’emergenza del 9 marzo, la Protezione civile ha già ottenuto una deroga per acquisire e trattare i dati biometrici che identificano in modo univoco una persona o quelli sulla salute. Quello del 17 marzo, Cura Italia, prevede la nomina di un “contingente di esperti” che si occupi “di dare concreta attuazione alle misure adottate per il contrasto e il contenimento del diffondersi del virus con particolare riferimento alle soluzioni di innovazione tecnologica”. Come anticipato da Wired Italia, sarà il ministero dell’Innovazione di Paola Pisano a occuparsi di questa task force, di cui faranno parte economisti ed esperti del tracciamento dei dati i cui nomi arriveranno con un decreto di nomina. Sul piatto verranno messi sia dati di fonti aperte, come la Protezione civile, sia di fonti dal mondo universitario. L’Università di Pavia, per esempio, che secondo Wired ha ottenuto da Facebook i dati sugli spostamenti da Nord a Sud nella notte del grande esodo, tra il 7 e l’8 marzo, dopo che il premier Giuseppe Conte ha annunciato la chiusura della Lombardia. Quindi: fonti aperte, dati anonimi e aggregati o dati che non escono dai dipartimenti degli atenei. Ancora diverso – ed ecco il punto – è il discorso del monitoraggio dei contatti dei casi positivi di cui parlavamo all’inizio: per attivarlo e andare a indagare sulla posizione e sugli spostamenti dei singoli cittadini e delle persone che incrociano, seppur ridistribuendoli anonimamente, servono regole e garanzie, come sottolineato anche dall’European Data Protection Board citando il Regolamento europeo per la privacy Gdpr, che consente il trattamento per finalità di sicurezza nazionale ma allo stesso tempo richiede una valutazione d’impatto e sulla sicurezza. Il governo non si è ancora sbilanciato. Nonostante questo sono numerose le dichiarazioni di aziende o startup (come quella raccolta da Elena Tebano) che stanno sviluppando applicazioni per tracciare i movimenti dei malati di Covid-19 ed eventualmente avvisare chi è entrato in contatto con loro. Anche Asstel, l’associazione di rappresentanza delle compagnie telefoniche, ha dato la sua disponibilità, ribadendo che serve un’indicazione dell’esecutivo.

Il modello della Corea del Sud

Il modello è quello della Corea del Sud, che ha puntato innanzitutto su test a tappeto (come vuole fare il Veneto di Zaia) e poi sull’uso della tecnologia con applicazioni mobili e attingendo a Gps o carte di credito per creare una mappa del contagio, utile anche per allertare le persone che potrebbero aver incrociato un infetto, di cui nessuno saprebbe nome e cognome (ma tutti saprebbero dove è stato e chi lo conosce potrebbe ricostruirlo). “La Corea ce l’ha fatta. Questa è una misura è un po’ lesiva della privacy e bisogna avere la certezza che il dato venga usato a fini di sanità pubblica, ma tracciare tutti i contatti dei positivi può aiutare a contenere il contagio, anche in questa condizione di semi reclusione in cui siamo. Si tratta di una misura eccezionale che dovrebbe essere svolta solo per un determinato periodo”, afferma Paolo Bonanni, ordinario di Igiene all’Università degli Studi di Firenze e componente della Società italiana di Igiene, medicina preventiva e sanità pubblica.

E la privacy?

Il Corriere ha chiesto al Garante per la privacy Antonello Soro di chiarire i punti più delicati.

Sul caso della Lombardia: “Non siamo stati informati dell’iniziativa della Lombardia e non la conosciamo, dunque, nei dettagli. Dalle notizie pubblicate sembrerebbe si tratti unicamente di dati aggregati e anonimi e ci riserviamo di verificarlo”. Sul tracciamento dei contagi anche in Italia: “L’acquisizione di trend, effettivamente anonimi, di mobilità potrebbe risultare una misura più facilmente percorribile, laddove, invece, si intendesse acquisire dati identificativi, sarebbe necessario prevedere adeguate garanzie, con una norma ad efficacia temporalmente limitata e conforme ai principi di proporzionalità, necessità, ragionevolezza. In tal senso, andrebbe effettuata un’analisi dell’effettiva idoneità della misura a conseguire risultati utili nell’azione di contrasto. Ad esempio, apparirebbe sproporzionata la geolocalizzazione di tutti i cittadini italiani, 24 ore su 24, non soltanto per la massività della misura ma anche e, forse, preliminarmente, perché non esiste un divieto assoluto di spostamento e dunque la mole di dati così acquisiti non avrebbe un’effettiva utilità. Diversa potrebbe essere, invece, la valutazione relativa alla geolocalizzazione, quale strumento di ricostruzione della catena epidemiologica. In ogni caso, è indispensabile una valutazione puntuale del progetto. Non è il tempo dell’approssimazione e della superficialità”.

Sulla possibilità che vengano coinvolte anche le piattaforme come Google o Facebook: “Il coinvolgimento delle piattaforme, se necessario ai fini dell’acquisizione di dati utili a fini di prevenzione, va normato adeguatamente, circoscrivendo, per ciascun soggetto coinvolto nella filiera del trattamento, i rispettivi obblighi. Se, infatti, può essere opportuno che il patrimonio informativo di cui dispongano i big tech sia messo a disposizione per fini di utilità collettiva, dall’altro questo non deve risolversi in un’occasione di ulteriore incremento di dati da parte loro. In ogni caso, gli utenti devono essere adeguatamente informati di tale ulteriore flusso di dati, che deve essere comunque indirizzato solo ed esclusivamente all’autorità pubblica, a fini di prevenzione epidemiologica”.

Sui paletti da mettere, adesso: “Bisognerebbe anzitutto orientarsi secondo un criterio di gradualità e, dunque, valutare se le misure meno invasive possano essere sufficienti a fini di prevenzione. Ove così non sia, si dovrà studiare modalità e ampiezza delle misure da adottare in vista della loro efficacia, proporzionalità e ragionevolezza, senza preclusioni astratte o tantomeno ideologiche, ma anche senza improvvisazioni. Il Garante fornirà, naturalmente, il suo contributo nello spirito di responsabilità e leale cooperazione istituzionale che ne ha sempre caratterizzato l’azione, nella consapevolezza della difficoltà del contesto attuale”.

Fonte: 

https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9294705

Dichiarazione del presidente del Comitato Europeo per la protezione dei dati personali

Il Comitato Europeo per la protezione dei dati è un organo europeo indipendente, che contribuisce all’ applicazione coerente delle norme sulla protezione dei dati in tutta l’Unione europea e promuove la cooperazione tra le autorità competenti per la protezione dei dati dell’UE. Il comitato europeo per la protezione dei dati è composto da rappresentanti delle autorità nazionali per la protezione dei dati e dal Garante europeo della protezione dei dati (GEPD).

Il comitato europeo per la protezione dei dati ha come obiettivo quello di garantire l’applicazione coerente nell’ Unione europea del regolamento generale sulla protezione dei dati e della direttiva sulla protezione dei dati personali nelle attività di polizia e giudiziarie.

Il comitato ha il potere di adottare orientamenti generali per chiarire le disposizioni della normativa europea sulla protezione dei dati, così da fornire a tutti i destinatari di tali disposizioni un’interpretazione uniforme dei loro diritti e obblighi.

Inoltre, il comitato può adottare  decisioni vincolanti ai sensi del RGPD nei confronti delle autorità nazionali di controllo al fine di garantire un’applicazione coerente delle norme.

 

Dichiarazione del presidente del Comitato Europeo per la protezione dei dati personali

Fonte:

https://edpb.europa.eu/news/news/2020/statement-edpb-chair-processing-personal-data-context-covid-19-outbreak_it

Speedtest di Ookla certifica l’effetto COVID-19: velocità di connessione a picco in Italia

 17 Marzo 2020

Ookla, famosa ai più per il suo speedtest per la verifica della propria connessione a Internet, sta monitorando le zone colpite dall’emergenza coronavirus, tra cui Italia e Lombardia e i risultati parlano chiaro

Lo stiamo sperimentando in molti in questo periodo di telelavoro forzato: le nostre connessioni sembrano essere diventate più lente. E ora arrivano i primi dati che certificano che non si tratta solo di un’impressione, ma che l’impatto dell’emergenza coronavirus anche sulla rete italiana c’è: la fotografia effettuata da Ookla, l’azienda meglio nota per il suo ubiquo Speedtest, parla chiaro.

I grafici mostrano l’andamento da fine dicembre 2019 alla scorsa settimana della velocità media della rete mobile e fissa (in alto) e della latenza (in basso), in Italia e nella sola Lombardia, la regione più colpita dall’epidemia. Dopo un leggero calo della velocità media, con un aumento contestuale della latenza, nella settimana del 24 febbraio, dopo l’entrata in vigore del decreto che estendeva le zone rosse e i primi richiami al telelavoro, si nota la decisa picchiata delle prestazioni della rete italiana, sia mobile che fissa, dopo il 2 marzo, quando sono entrate in vigore in tutta Italia le misure restrittive che hanno bloccato il paese.

La velocità media delle connessioni in Italia è scesa al di sotto dei 60 Mbit/s, toccando un nuovo minimo rispetto al congestionatissimo periodo dei giorni di Natale 2019. Se la cava meglio la Lombardia, ma solo perché parte da velocità mediamente più elevate, ma come si può vedere il tracollo è stato più significativo per le connessioni fisse, con un calo di quasi 10 Mbit/s in media. Praticamente allineato invece l’andamento delle connessioni mobili tra Lombardia e il resto dell’Italia nel loro calo di prestazioni.

Quello che questa fotografia non dice è che chi vive in una grande città coperta da fibra ottica fino all’unità immobiliare avrà notato magari un certo rallentamento ma non in grado di pregiudicare la propria operatività, ma chi abita appena fuori ed è ancora connesso solo via rame, magari con una linea ADSL da pochi megabit, sta probabilmente facendo fronte a problemi di connettività ben più seri.

Fonte: Digital Day

Israele, i servizi segreti arruolati per pedinare gli infettati dal Coronavirus: «E’ una guerra»

15 Marzo 2020

Il premier Netanyahu barrica il Paese. La geo-localizzazione per monitorare i contagiati. L’opposizione protesta: va rispettata la privacy dei cittadini

«E’ una guerra», proclama. E della guerra vuole usare gli strumenti «per combattere questo nemico invisibile». Quasi ogni sera all’ora della cena il premier Benjamin Netanyahu appare in diretta televisiva e comunica agli israeliani le ultime restrizioni per fermare la diffusione del Covid-19, fino a questo momento i casi sono 200: scuole, università, bar e ristoranti chiusi, proibiti i raggruppamenti di più di 10 persone, già nelle scorse settimane il governo aveva deciso di obbligare alla quarantena chiunque arrivasse dall’estero, la maggior parte dei voli sono stati cancellati. Come altri Paesi anche Israele si sta barricando per provare a rallentare la diffusione del virus.

Soprattutto Netanyahu vuole poter utilizzare i sistemi di sorveglianza tecnologica che lo Shin Bet, i servizi segreti interni, usano «nella guerra al terrorismo, è la nostra nuova sfida». In sostanza monitorare chi sia risultato positivo: con la geo-localizzazione è possibile individuare i luoghi dove queste persone sono passate e controllare che non violino il periodo di isolamento a casa. Il procuratore generale dello Stato ha dato l’approvazione alle misure speciali, mentre lo Shin Bet garantisce che non verrà violata la privacy e le informazioni non saranno sfruttare per imporre la quarantena. Dovrebbero servire a ricostruire la mappa degli spostamenti degli infettati.

Anche con queste limitazioni l’intervento dei servizi preoccupa deputati della sinistra come Nitzan Horowitz: «Pedinare i cittadini con questi mezzi sofisticati è una violazione dei diritti civili. E’ per questa ragione che queste tecniche sono proibite nelle nazioni democratiche».
Fonte: Il Corriere della Sera – Esteri

Istruzioni aggiuntive per smart working (lavoro da casa) al tempo del Coronavirus

A fronte della prevenzione e del contrasto alla diffusione del Coronavirus (Covid-19), nel rispetto delle recenti disposizioni sia nazionali che regionali, nonché per seguire i consigli degli esperti del settore sanitario, laddove possibile,  è stato raccomandato ai  datori  di  lavoro  pubblici  e  privati  di promuovere la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi  di  congedo ordinario e di ferie, e/o incentivare l’uso della tecnologia per favore il lavoro c.d. in modalità smart working (presso il domicilio).

Per regolamentare questa modalità operativa, lo Studio Paci ha predisposto delle istruzioni aggiuntive in materia di privacy da fornire ai dipendenti/collaboratori che in questo periodo garantiranno la continuità operativa seppur fuori sede.

Tali istruzioni, che integrano quelle già fornite ai soggetti autorizzati al trattamento dei dati personali ai sensi dell’articolo 29 del Regolamento Europeo 2016/679, risultano necessarie in particolare laddove gli strumenti utilizzati dai dipendenti/collaboratori per il trattamento dati personali risultino di proprietà dei dipendenti/collaboratori medesimi.

Le istruzioni aggiuntive verranno fornite su richiesta inviando una mail all’indirizzo segreteria@consulenzepaci.it o contattando il numero 0541 – 1795431.