Soro: “Sì al tracciamento dei contatti ma con un decreto temporaneo”

26 Marzo 2020

Intervista ad Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(di Andrea Iannuzzi, “La Repubblica” – 26 marzo 2020)

Tra le strategie messe in campo dal governo per contenere il contagio da coronavirus c’è il cosiddetto contact tracing digitale, cioè l’uso dei dispositivi mobili dei cittadini per la mappatura e il tracciamento dei soggetti entrati in contatto con persone infette: il modello coreano. Ma come si assicura la tutela della privacy e dei dati personali? Il Garante della privacy Antonello Soro, con il suo team di esperti, è al lavoro per conciliare tutte le esigenze: “Non si tratta – dice a Repubblica – di sospendere la privacy, ma di adottare strumenti efficaci di contenimento del contagio, pur sempre nel rispetto dei diritti dei cittadini”.

C’è bisogno di uno strumento legislativo ad hoc per attuare questo protocollo? Quale?

“La disciplina di protezione dei dati coniuga esigenze di sanità pubblica e libertà individuale, con garanzie di correttezza e proporzionalità del trattamento. Ma una misura quale il contact tracing, che incide su un numero elevatissimo di persone, ha bisogno di una previsione normativa conforme a questi principi. Un decreto-legge potrebbe coniugare tempestività della misura e partecipazione parlamentare. Va da sé che la durata deve essere strettamente collegata al perdurare dell’emergenza”.

Come si evitano gli abusi nel trattamento dei dati? Come ci si difende da intrusioni malevole?

“La nostra disciplina offre gli strumenti per minimizzare il pericolo di abusi, secondo i principi di precauzione e prevenzione, che impongono misure di sicurezza e garanzie di protezione dati già nella fase di progettazione e impostazione della struttura tecnologica. Rispettando questi criteri, si può valorizzare al massimo grado l’innovazione”.

Si può immaginare uno scambio di dati criptato o anonimizzato?

“Lo scambio e, prima ancora, la raccolta dei dati devono avvenire nel modo meno invasivo possibile per gli interessati, privilegiando l’uso di dati pseudonimizzati (ove non addirittura anonimi), ricorrendo alla reidentificazione laddove vi sia tale necessità, ad esempio per contattare i soggetti potenzialmente contagiati. Nella complessa filiera in cui si articolerebbe il contact tracing, soggetti privati – a partire dalle grandi piattaforme – dovrebbero porre il patrimonio informativo di cui dispongono a disposizione dell’autorità pubblica, alla quale dovrebbe invece essere riservata la fase dell’analisi dei dati, che necessita delle garanzie e della responsabilità degli organi dello Stato. In ogni caso, le società coinvolte in questo progetto dovrebbero possedere requisiti di affidabilità e trasparenza di azione. Nella valutazione è fondamentale il vaglio di conformità ai requisiti di protezione dati, per la garanzia dei diritti degli interessati, per l’attendibilità dell’analisi dei dati e anche per la sicurezza nazionale. Non sottovaluterei l’odierno richiamo in proposito da parte del Copasir”.

Come si potrà poi tornare alla “normalità” una volta finita emergenza?

“La chiave è nella proporzionalità, lungimiranza e ragionevolezza degli interventi, oltre che nella loro temporaneità. Il rischio che dobbiamo esorcizzare è quello dello scivolamento inconsapevole dal modello coreano a quello cinese, scambiando per efficienza la rinuncia a ogni libertà e la delega cieca all’algoritmo per la soluzione salvifica”.

Fonte: Garante Privacy

Il Garante della privacy: “Sì al tracciamento dei contatti, ma con un decreto legge temporaneo”

25 Marzo 2020

Il team di Antonello Soro sta studiando la strategia “coreana” del governo: contact tracing tramite app dei soggetti a rischio contagio. “Le società coinvolte devono rispondere ai nostri protocolli di sicurezza e garanzia sulla protezione dei dati. I privati gestirebbero dati con pseudonimi (o anonimi), lasciando allo Stato la re-identificazione in caso di necessità”

Tra le strategie messe in campo dal governo per contenere il contagio da coronavirus c’è il cosiddetto contact tracing digitale, cioè l’uso dei dispositivi mobili dei cittadini per la mappatura e il tracciamento dei soggetti entrati in contatto con persone infette. Si tratta di un protocollo previsto dall’Oms in caso di epidemie e che in modo analogico viene già effettuato anche in Italia

Fonte: Rep.Repubblica

Un attacco informatico sventato ai danni dell’OMS

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel bel mezzo dell’epidemia di coronavirus, ha dovuto fare i conti anche con un attacco informatico.

Fonti hanno riferito a Reuters di un attacco informatico fortunatamente non andato a segno nei confronti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un evento che risale alle scorse settimane, proprio quando l’emergenza coronavirus ha iniziato a farsi sentire in modo importante a livello globale. Ignoti al momento gli autori, anche se un’ipotesi è stata formulata.
OMS: attacco informatico non andato a buon fine

Più nel dettaglio l’azione è stata individuata il 13 marzo quando malintenzionati hanno messo online un portale che riproduceva in modo contraffatto il sistema interno per la gestione della posta elettronica utilizzato dai membri della World Health Organization. L’obiettivo era ovviamente quello di trarre in inganno membri dello staff e sottrarre loro le credenziali di accesso agli account, mettendo poi le mani su informazioni riservate. Riportiamo a tal proposito il commento di Max Heinemeyer, Director of Threat Hunting di Darktrace.

“Agli occhi di chi si occupa di sicurezza informatica l’attacco contro l’OMS non rappresenta una sorpresa. Nelle ultime tre settimane abbiamo assistito a una escalation negli attacchi che sfruttano l’emergenza sanitaria globale in corso. In particolare, osserviamo un aumento di quelli che abbiamo denominato attacchi “fearware”, ovvero email apparentemente benigne che fanno leva sulle notizie di attualità e sfruttano la paura collettiva a scopo criminoso.”

Addetti ai lavori, pur non confermandolo, ipotizzano che la responsabilità possa essere del gruppo DarkHotel attivo fin dal 2007 e già capace di prendere di mira istituzioni e governi di tutto il mondo. Prosegue Heinemeyer.

“L’OMS si trova nell’epicentro dell’emergenza e, anche se l’identità dell’hacker responsabile dell’attacco è tuttora sconosciuta, le informazioni sulla pandemia in possesso dell’organizzazione (come il virus si diffonde, come può essere contenuto e i progressi sui vaccini, ad esempio) sono elementi preziosi da conoscere per le agenzie di intelligence e i governi di tutto il mondo, che si stanno adoperando per affrontare la crisi.”

Restando in tema coronavirus, l’emergenza e l’attenzione rivolta al tema in queste settimane hanno innescato un moltiplicarsi di minacce come campagne di phishing e distribuzione di codice maligno. La raccomandazione, oggi più che mai, è sempre la stessa: massima attenzione.

Fonte: Puntoinformatico

L’Antitrust blocca siti truffaldini sul Coronavirus

Affossati due siti truffaldini in tema Coronavirus: uno vendeva una cura, un altro vendeva un macchinario per test casalinghi sul contagio.

Con una fondamentale attività di repressione delle truffe, di particolare importanza in questo momento di emergenza sanitaria, l’autorità antitrust ha portato al sequestro di due domini registrati con evidenti finalità truffaldine. Entrambi i tentativi sono chiaramente legati al contesto della lotta al Coronavirus, giocando sul momento di grave difficoltà che si sta vivendo in Italia e cercando di approfittarne sulla pelle delle persone meno attente e – probabilmente – più fragili.

Farmacocoronavirus.it

Il primo intervento è relativo a sequestro del dominio farmacocoronavirus.it ed alla relativa chiusura del sito. Non serve aver visto i contenuti del sito per capire che si trattava di un tentativo del tutto truffaldino di giocare con le paure delle persone e con il posizionamento SEO del dominio.

Il sito focalizzava l’attenzione sul “farmaco generico Kaletra” (venduto al prezzo di 634,44 euro), paventando proprietà curative particolari e di miracolosa utilità per la cura della Covid-19:

“Più precisamente, i claim impiegati sembrerebbero suggerire che detto prodotto, contrariamente al vero, sia l’”unico farmaco contro il Coronavirus (COVID-19)” e l’”unico rimedio di combattere il Coronavirus (COVID-19)”. Inoltre, il complessivo contesto narrativo sembrerebbe far leva sulla tragica pandemia in atto per orientare i consumatori all’acquisto. Parimenti, il professionista sembrerebbe vantare, contrariamente al vero, di essere una farmacia online, legale al 100% e di avere un’esperienza ultradodecennale. A ciò si aggiungono l’omessa fornitura di informazioni precontrattuali in ordine all’identità del professionista e al suo indirizzo geografico e un’assai stringente limitazione dell’esercizio del diritto di recesso.”

Testcoronavirus.shop.it

Altro intervento soppressivo è relativo al sito che prometteva la fornitura di un dispositivo per il test casalingo del Coronavirus: in giorni nei quali si fa gran parlare della quantità di tamponi eseguiti ed eseguibili, anche questo sito è stato ritenuto fortemente ingannevole e di particolare pericolosità. Spiega l’Authority:

“Il prodotto in questione viene reclamizzato come un dispositivo medico diagnostico destinato ad essere utilizzato a domicilio, da parte di persone non esperte di test diagnostici, al fine di auto-diagnosticare in maniera rapida ed affidabile l’eventuale contagio da COVID-19. In realtà, le informazioni fornite dal professionista sull’efficacia del test, sulla sua destinazione di uso e sul suo carattere sperimentale appaiono ambigue, confuse e oscure.”

La gravità del momento autorizza procedure immediate da parte dell’AGCM, che promette nel nuovo bollettino di voler continuare a “monitorare il mercato concentrando la propria attenzione su operatori attivi nell’e-commerce che adottano comportamenti scorretti e ingannevoli“.

 

Fonte: Puntoinformatico

Un’app per la salute grazie a precise deroghe alla privacy – Intervista ad Antonello Soro

Intervista ad Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(di Paolo Russo, “La Stampa” – 25 marzo 2020)

Prima di rispondere alle domande sui rischi sottesi all’utilizzo di App che traccino i nostri movimenti per fermare l’epidemia, il Garante della privacy, Antonello Soro ci tiene a mettere alcuni punti sulle i. “Ho letto interviste sprezzanti in merito al diritto alla privacy. Abbiamo detto mille volte che quel diritto, anche nella sua declinazione digitale di protezione dei dati, soggiace a delle limitazioni a fronte di un interesse collettivo, a maggior ragione in questa fase drammatica. L’equilibrio tra diritti individuali e della collettività è sancito dalla Costituzione”. “Però – aggiunge – le deroghe non devono diventare un punto di non ritorno”.

Ma non c’è comunque il rischio che un Grande Fratello finisca per controllare ogni nostro movimento?

“Sento parlare molto di modello coreano. Se significa definizione di un protocollo di tracciamento precoce dei positivi e delle persone che sono venute a contatto con loro, oltre che un controllo sul rispetto della quarantena, non avrei obiezioni. Purché a questo seguano poi test mirati, ma diffusi su tutti coloro che sono stati esposti a rischio di contagio e si garantiscano al contempo le adeguate protezioni al personale sanitario. Ma serve un governo unitario delle operazioni. Non è il momento delle improvvisazioni”.

A chi si riferisce?

“Alle iniziative estemporanee di alcuni Comuni e Regioni dove si ipotizzano esperimenti scoordinati e incontrollati, che possono generare confusione”.

A chi spetterebbe la regia e la gestione dei dati?

“Potrebbe essere la Protezione civile affiancata da un team di esperti. Ma spetterà al governo decidere. L’importante è che la regia sia unica e che competa a una autorità pubblica, dotata delle giuste competenze necessarie ad analizzare e utilizzare al meglio i dati. Anche per gestire la successiva fase dei test mirati”.

Si parla anche di un coinvolgimento di big player con Google e Facebook, che in passato hanno utilizzato in modo un po’ spregiudicato queste informazioni.

“Dipende dal ruolo che avranno. Un conto è consentire al regista pubblico di utilizzare le loro piattaforme per raccogliere informazioni secondo procedure e norme di garanzia ben definite. Un altro è offrire loro un’altra occasione per raccogliere dati sensibili. In tal caso andremmo proprio nella direzione sbagliata”.

Chi ci assicura che queste deroghe al diritto alla privacy cessino finita l’emergenza?

“La scadenza deve essere definita in partenza e dovrà coincidere con la fine dello stato di emergenza proclamato dal governo a febbraio. Spetterà all’Autorità garante il compito di vigilare e quando necessario irrogare sanzioni. Che possono arrivare al 4% del fatturato. So che molti dicono “ma tanto già oggi le grandi piattaforme utilizzano come vogliono i nostri dati”. Credo che la spinta dell’emergenza aiuterà a individuare, anche a livello internazionale, forme più efficaci di regolazione contro lo strapotere dei big player del web”.

Le informazioni raccolte serviranno anche a offrire servizi di assistenza e telemedicina a chi è in quarantena. Chi garantisce che dati sensibili sulla nostra salute non vengano poi utilizzati per altro?

“Conta sempre chi deve raccoglierli e poi utilizzarli. Se spetta a una autorità pubblica trasparente va bene. Se vengono affidati a una gestione casuale, magari per diffonderli in Rete no. Ci sono alcuni consiglieri comunali che hanno messo on line nome e cognome dei contagiati creando discriminazioni inaccettabili”.

In conclusione è così difficile in momenti come questi far convivere due diritti come quello alla salute e alla privacy?

“No, se rispettiamo un principio fondamentale della democrazia, la proporzionalità. Che è garantito quando un sistema anche invasivo è comunque finalizzato all’interesse generale di tutela della salute. Purché la raccolta di informazioni non ecceda rispetto alle necessità e avvenga dentro un processo ben normato, controllato e soprattutto a termine”.

Fonte: Garante Privacy

Coronavirus, pronta la app italiana per tracciare i contagi: «Così possiamo fermare l’epidemia»

18 Marzo 2020

Permette di ricostruire i movimenti delle persone positive al coronavirus e di avvertire chi è entrato in contatto con loro ed è quindi a rischio contagio. Sviluppata da aziende italiane e pensata per la Protezione civile aspetta il via libera del governo

«Abbiamo già sviluppato una app da scaricare sui cellulari che permette di tracciare in tempo reale i movimenti delle persone positive al coronavirus, di avvertire chi è entrato in contatto con loro ed è quindi a rischio contagio e di individuare sul nascere lo sviluppo di possibili nuovi focolai. Il tutto in modo assolutamente anonimo. Stiamo facendo gli ultimi test e siamo pronti a metterla a disposizione della Protezione civile». Luca Foresti è l’amministratore delegato della rete di poliambulatori specialistici Centro medico Santagostino. Ex normalista (a Pisa ha studiato fisica e matematica) con esperienze nella finanza etica e nell’imprenditoria digitale, sta lavorando con i maggiori esperti italiani di big data a un progetto senza fini di lucro per mettere l’analisi dei database e la geolocalizzazione digitale al servizio del contenimento dell’epidemia di Covid-19. Insieme hanno formato una onlus sotto la direzione tecnico-scientifica del presidente dell’Accademia dei Lincei Giorgio Parisi, e con la valutazione tecnica dell’ex commissario per l’Agenda Digitale Diego Piacentini, a cui lavorano Bending Spoons, la più importante azienda italiana che fa app; Jakala, una società di marketing digitale con grandi competenze sulla georeferenziazione; e Geouniq, che ha sviluppato un programma di geolocalizzazione capace di individuare la posizione di un cellulare (compreso il piano del palazzo a cui si trova) con un errore di soli 10 metri.

A cosa serve la app?
«A limitare e contenere i contagi intervenendo sui focolai in modo mirato, chirurgico. L’isolamento deciso dal governo in questo momento è fondamentale, ma dobbiamo pensare a degli strumenti per il dopo, quando il virus sarà diminuito ma non del tutto scomparso e dovremo prevenire che si diffonda di nuovo».

Come funziona?
«È una applicazione scaricabile sul cellulare che permette, una volta individuati i positivi, di ricostruire tutti i loro movimenti nelle settimane precedenti e di mandare un messaggio a coloro con cui sono entrati in contatto per segnalare che sono a rischio e devono mettersi in autoquarantena. In questo modo si ferma la diffusione del virus. È lo stesso approccio sperimentato in Corea del Sud, a Singapore e in parte in Cina, che si è rivelato molto efficace».

Uno dei problemi però è che molte persone positive, con sintomi lievi, non vengono rilevate perché non sono sottoposte ai tamponi…
«La app ha anche un “diario clinico” per la early detection, l’individuazione precoce delle infezioni. Una sezione in cui i singoli utenti possono registrare in modo anonimo eventuali sintomi. I dati così raccolti permettono di prevedere se ci sono delle zone in cui si sta diffondendo il contagio. Oggi invece facciamo i test solo alle persone che si aggravano: significa che rileviamo i casi quando ormai sono vecchi di almeno dieci giorni. E quindi hanno già contagiato altri. Sapere se oggi a Milano, per esempio, c’è un improvviso aumento di persone con la febbre significa poter intervenire subito con la quarantena e l’isolamento preventivo. Poi certo è auspicabile fare test a tappeto: speriamo che si arrivi anche a quello».

Si possono rilevare anche gli spostamenti “eccessivi” come quelli che sono stati denunciati in questi giorni in Lombardia?
«Sì, siamo già in grado di rilevare su base statistica (e quindi anonima) assembramenti a rischio o di dire quali comuni hanno comportamenti sbagliati e quindi devono rivedere le politiche di contenimento. Non solo, questi dati possono essere incrociati con quelli dell’Istat per tracciare ulteriori mappe di rischio». Quali dati Istat? «L’Istat divide tutto il territorio nazionale in “cellette” di 65 famiglie. Per ognuna di esse abbiamo la distribuzione della popolazione in base all’età: se sappiamo che in un determinato territorio c’è una maggiore concentrazione di anziani, sappiamo che c’è una più alta probabilità di avere vittime e che quindi dobbiamo pensare a interventi mirati per quella zona».

Chi avrebbe accesso a questi dati?
«La Protezione civile, che così potrebbe intervenire in tempo reale per prevenire i comportamenti sbagliati o predisporre la risposta sanitaria. E poi la comunità scientifica. La ricerca scientifica è fondamentale per sconfiggere il coronavirus, ma deve essere veloce: per questo deve avere dati il più possibile precisi. Infine la app funziona anche nel verso opposto: permetterebbe di informare e seguire i cittadini preoccupati o con sintomi, che adesso non sempre riescono a raggiungere i numeri di emergenza».

In tutto questo però c’è il problema della privacy: siamo in una democrazia, è un diritto fondamentale delle persone.
«Ne abbiamo tenuto conto fin dall’inizio e abbiamo sviluppato la app in collaborazione con Giuseppe Vaciago, avvocato ed uno dei maggiori esperti nella protezione dei dati sensibili in Italia. La app non rivela né i dati anagrafici né il numero di telefono delle persone».

In Corea ci sono stati problemi perché la ricostruzione dei movimenti dei contagiati ha fatto capire chi erano e cosa facevano.
«Noi non rendiamo pubblici i tracciati, ma avvertiamo in modo automatico coloro che sono stati in posti dove c’erano positivi».

Cosa vi manca per partire? State aspettando l’autorizzazione del governo? Ci sono anche altre realtà che stanno lavorando a strumenti simili…
«Siamo in contatto con il ministero per l’Innovazione digitale guidato da Paola Pisano, che ci ha dato il suo supporto. E siamo pronti a collaborare e unire le forze con chiunque abbia sviluppato altri strumenti utili».

Fonte: Corriere della sera – tecnologia

Tracciamento digitale? Si può fare. Bolognini spiega come

Contract tracking all’italiana, tra diritti e libertà. Nel 2020 la lotta al Covid-19 passa anche per il digitale. Conversazione di Formiche.net con il presidente dell’Istituto per la privacy Luca Bolognini

Da settimane c’è un acceso dibattito in Italia, tra favorevoli e contrari all’uso dei Big Data, in particolare con riferimento al monitoraggio dei dati di localizzazione degli smartphone, nella lotta al coronavirus. Paesi come Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong e Singapore hanno avviato iniziative in tal senso. Ieri l’annuncio del ministro dell’Innovazione Paola Pisano che ha lanciato un’iniziativa per limitare il contagio da coronavirus. Luca Bolognini, presidente dell’Istituto Italiano per la Privacy spiega a Formiche.net limiti e prospettive della nuova task force di Palazzo Chigi per il tracciamento digitale.

Quali problemi si pongono per il cosiddetto contact tracking in Italia?

In Italia, come nel resto d’Europa, assistiamo ad un incontro-scontro al vertice tra diritti e libertà. Abbiamo i diritti alla vita e alla salute, da una parte, e i diritti alla privacy e alla protezione dei dati personali, dall’altra. Naturalmente, prevalgono con urgenza salute e vita. Ma attenzione: i diritti alla privacy e alla protezione dei dati sono strumentali alla tutela di libertà e dignità delle persone, oltre che alla salvaguardia della democrazia. In questo senso, sbaglia chi deride o sminuisce la privacy.

Il nodo principale resta come utilizzare le tecnologie digitali impattando il meno possibile sulla privacy degli utenti. Come valuta la convivenza con il tracciamento digitale dei potenziali contagiati da Covid-19?

I principi di ragionevolezza e di proporzionalità impongono di trovare soluzioni che funzionino e raggiungano il risultato senza distruggere l’essere umano. Le faccio un esempio metaforico, provocatorio, surreale ma semplice da cogliere: sappiamo che il calore uccide il Covid-19. Bene. Avrebbe dunque senso bruciare vivi i contagiati, così da uccidere il virus? Ovviamente, no. Ma evitiamo anche inutilità: servirebbe un sistema di tracciamento soltanto anonimo e aggregato, che non consentisse il tracking dei singoli contagiati e dei loro contatti stretti? Probabilmente no, se non per finalità di intelligence politica generale. Non esiste la forma anonima, se posso tracciare gli spostamenti di un individuo. E in alcuni casi sarà giusto e indispensabile non trattare solo dati anonimi. Un sistema di tracing, se deve essere realmente utile a contrastare il virus e pertanto giustificato, non può essere anonimo.

Anche Facebook avrebbe messo a disposizione dei ricercatori set di dati anonimi. Quali sono le strategie per evitare l’uso improprio di questi dati?

Ben vengano i dati anonimi per orientare velocemente le policy di chi governa la macchina pubblica, in queste concitate fasi d’emergenza. Ma, a dire il vero, se passasse una normativa abilitante per questo tracciamento digitale antivirus, io mi aspetterei che Facebook e gli altri over the top contribuissero anche con dati non anonimi. Peraltro, Facebook è sempre stato molto pronto nel sostegno delle popolazioni in difficoltà ed emergenza, si pensi alle funzioni che attiva in caso di terremoti e altre calamità, da anni.

Bolognini, la domanda che si pongono un po’ tutti  è se il governo possa attivare un monitoraggio di questo tipo, così invasivo e generalizzato, in una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo in assenza di una legislazione specifica? Esistono dei precedenti… Quali sono le condizioni necessarie?

Si può fare, senza perdere tempo. Chiudiamo due o tre esperti veri di privacy e protezione dei dati nella war room in cui stanno lavorando epidemiologi, medici, informatici, innovatori e Protezione Civile, a progettare insieme il sistema. Il margine di manovra per comprimere la privacy, senza annientarla, è fissato nel Regolamento europeo (il Gdpr, all’art. 23) e nella Direttiva ePrivacy del 2002 (all’art. 15). L’articolo 14 del Decreto Legge 14/2020 permette già al sistema della protezione civile di trattare dati, anche sensibili, per il contrasto all’epidemia.

Ci spieghi meglio…

Basta integrare quell’articolo in fase di conversione del decreto, tra pochi giorni, prevedendo espressamente che la Protezione Civile, il ministero della Salute e chi li aiuta nella guerra al virus possano trattare anche dati di traffico telefonico, telematici e di localizzazione, e dati archiviati sui terminali degli utenti, per combattere e vincere la sfida. Prevedendo, nella stessa norma, termini temporali certi ed un meccanismo di controllo costante e periodico, ad intervalli stretti, sulla persistenza dei requisiti di necessità e dei livelli di efficacia che giustificano l’adozione di questo tracciamento digitale. Il Garante della Privacy può essere l’autorità giusta per questo controllo, anche se la straordinarietà del congelamento di diritti e libertà mi porterebbe perfino ad immaginare un ruolo di questo genere, più “operativo” del normale, per la Corte Costituzionale.

Fonte: Formiche.net – Analisi, commenti e scenari

Coronavirus, controlli con i droni, sequestro dell’auto e multe fino a 3 mila euro. Un’app per i contagiati

23 Marzo 2020

Nuova stretta del governo per fermare l’epidemia: il decreto potrebbe essere varato già lunedì. Ordinanza dell’Enac autorizza il «monitoraggio degli spostamenti» nelle aree urbane

Multe e sequestro delle auto o delle moto per chi non rispetta i divieti, droni per monitorare gli spostamenti dei cittadini. Nella lotta contro il contagio da coronavirus il governo vara norme più incisive per impedire alle persone di andare in giro «senza comprovati motivi». E lo fa con un decreto che potrebbe essere approvato già oggi dal consiglio dei ministri. Un provvedimento ritenuto necessario visto che i controlli effettuati in tutta Italia portano ogni giorno a migliaia di denunce, ma soprattutto dimostrano che il rischio di essere scoperti non rappresenta affatto un deterrente. Appare infatti assai difficile che, quando l’emergenza sarà finita, nei tribunali possano essere istruiti processi per la violazione dell’articolo 650 del codice penale e inflitte sanzioni da 206 euro. In Lombardia le multe sono già state previste con un’ordinanza del governatore Attilio Fontana. E dal governo è stato chiarito che le ordinanze regionali possono essere emesse «se non entrano in conflitto con quanto previsto dai decreti del presidente».

 

I positivi «tracciati»

Per monitorare chi è stato contagiato si pensa di utilizzare un’applicazione che i cittadini risultati positivi al tampone del Covid-19 dovrebbero scaricare sul proprio smartphone in modo da consentire alle autorità di verificare attraverso le reti telefoniche e wi-fi se siano entrati in contatto con altre persone che a loro volta sarebbero sottoposte a controllo. Le autorità assicurano che non ci sarebbe una «profilazione» — come invece sarebbe accaduto in Cina e Corea — ma su questo dovrà intervenire il garante della privacy che ha già elencato le modifiche necessarie all’attuale normativa. Su questo il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro è rassicurante: «La app servirà non solo per tracciare, ma anche per assistere e coniugherà i valori di democrazia e libertà con il distanziamento sociale».

Il monitoraggio

Ieri, con un’ordinanza emanata dall’Enac, sono ufficialmente entrati in funzione i droni per il «monitoraggio degli spostamenti dei cittadini». Nel documento è specificato che «le operazioni condotte con sistemi aeromobili a pilotaggio remoto con mezzi aerei di massa operativa al decollo inferiore a 25 kg, nella disponibilità dei Comandi di polizia locale, potranno essere condotte in deroga ai requisiti di registrazione e di identificazione». E si sottolinea che si potranno effettuare i controlli «anche su aree urbane dove vi è scarsa popolazione esposta al rischio di impatto». Per questo «fino al 3 aprile 2020 si possono usare i droni nelle aree prospicienti tutti gli aeroporti civili e identificate come “aree rosse”, ad una quota massima di 15 metri».

Multe da 2 mila euro

La multa potrà arrivare fino a 2.000 forse 3.000 euro, il mezzo potrà essere sequestrato o sottoposto a fermo amministrativo. Sono questi i dettagli da mettere a punto, ma sulla necessità di imporre una stretta per fermare chi va in giro non c’è alcun dubbio. Del resto i numeri del Viminale non sono affatto confortanti: dall’11 al 22 marzo sono stati controllati circa 2 milioni di cittadini e denunciati oltre 92mila. E questo nonostante ci siano migliaia di persone già contagiate e altre migliaia vittime del coronavirus. Anche per questo il Viminale ha emesso ieri un nuovo modulo per l’autocertificazione in cui bisogna specificare l’indirizzo da cui si parte e quello dove si arriva oltre a giustificare lo spostamento.

Fonte: Il Corriere della Sera – Cronache