Intervista ad Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(Di Giovanna Vitale, La Repubblica, 18 aprile 2020)
Presidente Soro, la app scelta dal governo è sicura? Affidandosi a uno smartphone, i nostri dati sensibili non rischiano di diventare di dominio pubblico o essere utilizzati in modo poco ortodosso?
“Intanto una premessa: io non conosco la app su cui è caduta la scelta del governo. Nella fase della selezione, però, l’ufficio del Garante ha avuto una intensa interlocuzione con il ministero dell’Innovazione, al quale abbiamo fornito indicazioni molto chiare rispetto sia alla tutela dei dati personali, sia alla migliore tecnologia per garantirla. Un orientamento peraltro condiviso dalla Commissione europea e mi pare recepito da Immuni, che punta a privilegiare il sistema bluetooth con la pseudonimizzazione dei dati identificativi”.
Quali sono queste indicazioni?
“Le regole fissate dall’Europa per il tracciamento: no alla geolocalizzazione, sì alla tecnologia bluetooth, anonimato e volontarietà”.
Se l’app viene installata su un telefono che è associato a una sim, come si garantisce l’anonimato?
“Il sistema di tracciamento con la pseudonimizzazione dei dati identificativi funziona così: ogni 15 minuti il bluetooth rilascia un codice alfanumerico. Questa sequenza di codici resta immagazzinata su ogni singolo telefonino. Viene decodificata solo quando si individua un positivo e allora occorre ricostruire la catena epidemiológica dei suoi contatti”.
E come si fa a ricostruirla?
“Incrociando tutti i codici identificativi (e anonimi) che nell’ultimo periodo sono entrati in contatto con la persona infetta. A quel punto sulla app del potenziale contagiato, identificato con un codice alfanumerico, comparirà un avviso che segnala il rischio. La app, ricordo, è stata ceduta allo Stato: il gestore è pubblico. Non solo. Noi abbiamo anche chiesto che una volta che tali dati abbiano esaurito il loro ciclo vengano distrutti”.
Come si farà a convincere la gente a scaricare la app?
“Lo scopo del tracciamento coincide con l’esigenza di sottoporre ad accertamenti quanti siano entrati in contatto con un soggetto positivo o, comunque, di adottare le misure utili a prevenire il contagio. Ma il sistema funziona solo se verrà adottato da almeno il 60% degli italiani. Ai quali bisogna far capire che il diritto alla salute è un interesse collettivo: solo se lo perseguiamo tutti, in modo solidale, riusciremo a centrare l’obiettivo. Da qui anonimato e volontarietà come principi cardine”.
Ma basta una app per tenere sotto controllo il virus?
“No, sono necessarie una serie di azioni complementari, a partire dai test diagnostici dei potenziali contagiati. Si possono infatti raccogliere tutti i dati del mondo sui potenziali infetti, ma se poi non si hanno le risorse, o persino i reagenti, per accertarne renettiva positività non si va molto lontano. Inoltre non tutti dispongono di uno smartphone, specie gli anziani: il che rende il tracing uno strumento importante ma non l’unico”.
Quale pensa che sia il rischio principale?
“Ciò che mi preoccupa è il fatto che tutte le Regioni stanno adottando specifiche app regionali che contrastano con la strategia che occorre seguire in queste circostanze. Ovvero uniformare al massimo i comportamenti per inserire il da ta tracing in una strategia più generale che ci consenta di scongiurare nuovi focolai. Ma se ogni regione adotta la sua app e si fa il suo tracciamento, il potere persuasivo viene meno e il rischio di trattamento scorretto dei dati aumenta a dismisura”.
Fonte: Garante Privacy